Siamo sicuri che ogni novità rappresenti una minaccia? Sicuri che ogni nuovo insediamento industriale sia da osteggiare?
Ieri i capannoni di logistica industriale ed ora i data center, dove si concentrano i computers per l’elaborazione delle informazioni utili all’industria, ma anche ai servizi al cittadino. Alcuni insediamenti sono senz’altro da evitare e osteggiare, come il nuovo inceneritore industriale di Itelyum-Ecowatt a Vidardo. Altri si sarebbero dovuti impedire, come il nuovo gruppo a metano fossile della centrale elettrica di Tavazzano. Ma siamo sicuri che debbano essere considerati una minaccia tutte le superfici occupate dai pannelli solari, anche quando rispondono a tutte le norme delle coltivazioni “agrivoltaiche”, anche quando dotati di ottimi e dettagliati piani agronomici e non fanno perdere neanche un metro di terreno agricolo coltivato? L’agrivoltaico può permettere una agricoltura di precisione e migliorare le produzioni sostenibili e di qualità, le energie rinnovabili elettriche possono consentire di svincolarci dal costo del metano fossile.
Sono sempre una minaccia gli impianti di biometano, anche se da scarti dell’agroindustria o dalla depurazione dei liquami? E gli impianti di compostaggio e di riciclaggio dei nostri rifiuti? Nell’economia globale qualsiasi lavorazione implica l’arrivo di semilavorati da altre fabbriche nel mondo e la spedizione del prodotto in tante nazioni: nel lodigiano o in Lombardia si svolge solo una parte dei cicli produttivi, auspicabilmente ad alto valore aggiunto e con personale qualificato. Gli insediamenti del futuro sono (quasi) tutti classificabili come “logistica industriale” o collegati a reti logistiche continentali se non mondiali: è importante che comportino un consumo di suolo limitato e siano collegati al trasporto ferroviario ed elettrico. Sta a noi, italiani e lodigiani, sapere argomentare e difendere dei sì e dei no. Anzi, più spesso ancora saper attrarre, condizionare e orientare gli investimenti di capitale nella direzione auspicata.
“La conversione ecologica potrà affermarsi soltanto se apparirà socialmente desiderabile”, sosteneva uno dei grandi padri dell’ambientalismo italiani ed europeo, Alexander Langer nel 1994, un anno prima di morire devastato dall’impotenza del conflitto nei Balcani, a pochi chilometri dai confini italiani. Ero amico di Alex Langer, abbiamo lottato strenuamente contro il nucleare, ma appassionatamente a favore del solare. Il mondo non è solo popolato di minacce e paure, ma anche di speranza e desiderio di cambiamento.
L’Italia del secolo scorso scommetteva nel futuro ed è diventata la terza industria europea e la sesta o settima al mondo. Poi abbiamo smesso di investire: da trent’anni investiamo molto meno del resto d’Europa, salvo una ripresa dal 2023 grazie ai fondi europei del PNRR, in gran parte nel green e digitale. Smettere di innovare ed investire, vuol dire arretrare: in Germania gli stipendi sono diventati il 50% più alti dei nostri, in Francia il 27%. La conversione verde, l’uso efficiente dell’energia e le rinnovabili, l’economia circolare, la sanità, così come il digitale e i servizi informativi che tutelano il cittadino prevedono investimenti in impianti e reti innovative.
E infine, qual’è l’alternativa? La conservazione dell’esistente? Nel lodigiano sono attive 13.500 imprese, erano oltre 16 mila nel 2008. L’agricoltura perde ogni anno tra 50 e 100 ettari di superficie coltivata. Cresce molto poco la ricchezza prodotta, diminuisce troppo poco l’inquinamento, sono fermi i redditi delle famiglie. E industria e redditi sono minacciati dai dazi e dalle guerre.
Andrea Poggio