Comunità energetiche: pronti, via!

Comunità energetiche: pronti, via!

Venerdì 15 Novembre 2024 ore 14:00 presso sala Fondazione Comunitaria di Lodi, si è tenuto un interessante confronto tra Comunità Energetiche Rinnovabili, con caratteristiche Solidali (CERS) nelle provincie della pianura lombarda ed emiliana. La CERS “Comunità Solare” cooperativa a mutualità prevalente, impresa sociale ETS, accompagnata da un gruppo d’acquisto (GAS) fotovoltaico, è ufficialmente partita, con i primi impianti e soci consumatori.

E’ stata l’occasione per presentare il lavoro svolto e le prime esperienze di comuni, associazioni, cooperative a Lodi e Piacenza e persino le fondazioni costituite per iniziativa della Diocesi di Cremona nei territori oltre Adda. L’evento ha aperto il Festival dei Diritti, promosso dal Centro Servizi Volontariato della Regione Lombardia, con gli interventi di saluto di Giuseppe Negri, a nome della Fondazione Comunitaria Lodi e di Giuseppe Mancini, per il coordinamento Umanità Lodigiana.

Dopo Riccardo Peasso (vedi VIDEO), che ha ricordato i primi progetti nel mantovano, Giuseppe Dasti ha presentato le 6 CERS (Caravaggio, Soresina, Castelverde, Sospiro, Gussola, Casalasco Viadanese) in corso di costituzione, che si propongono di destinare il 25% degli incentivi derivanti dalla condivisione dell’energia rinnovabile di cui beneficeranno, per finanziare progetti sociali. Le comunità cremonesi hanno saputo aggregare i comuni, le parrocchie e gli enti del terzo settore con il ruolo di soci fondatori: nel complesso sono stati coinvolti 27 Comuni, 27 Parrocchie, 18 ETS, per un totale di 72 enti. Vedi VIDEO Giuseppe Dasti. e la sua relazione.

Per il lodigiano e nel piacentino è nata un’unica Comunità energetica rinnovabile solidale (CERS) di interesse sovracomunale. Costituita il 2 luglio scorso, si chiama “Comunità Solare impresa sociale ETS” ed è una cooperativa, impresa sociale, senza fini di lucro (è un ente del terzo settore iscritto al RUNTS, registro provinciale delle associazioni). Contemporaneamente Legambiente e la rete Umanità Lodigiana stanno aiutando i privati a realizzare gli impianti con il Gruppo Acquisto Solare- GAS fotovoltaico: tutti entreranno in comunità, grazie anche ai contributi europei (40% in conto capitale PNRR nei comuni con meno di 5 mila abitanti). Secondo Andrea Poggio, neo presidente della Comunità, “si può fare, sarà un po’ complesso costituire e, soprattutto, gestire comunità energetiche, ma è anche possibile, utile e vantaggioso come sanno tutti coloro (un milione di italiani) che hanno un pannello solare sul proprio tetto. Installare pannelli solari in comunità è oggi un po’ più interessante, proprio perché lo si fa insieme, come dimostrano le esperienze illustrate nell’incontro”. Vedi VIDEO Andrea Poggio e la presentazione.

La parola alle testimonianze. Uno dei primi impianti solari “comunitari” sarà ospitato dalla Coop sociale Il Pellicano di Castiraga Vidardo, ha ricordato Enrico Castelvecchio, allo scopo di completare l’autosufficienza energetica della struttura di accoglienza e di lavoro. Con i fondi raccolti tra i soci della CERS, si realizzeranno 80 kW di solare. Parte dell’energia prodotta sarà direttamente consumata dal Pellicano, in cambio dell’affitto della superficie impegnata dai pannelli. Inoltre la Comunità Solare condividerà con tutti consumatori di Castiraga Vidardo e della zona di Sant’Angelo i vantaggi (il “premio”) dell’energia elettrica di “vicinato” usata. Infine 1.500 – 2.000 euro all’anno sarà destinato al fondo solidale per progetti sociali nel territorio.

Sandra Milas (assessora al Comune di Brembio) ha illustrato il progetto che sarà portato assemblea cittadina l’11 dicembre e che consiste nel realizzazione dell’impianto (più di 100 kW) è stato chiesto un contributo alla Fondazione Cariplo (20% dei costi) e prossimamente, con l’adesione alla CERS, al GSE (40% PNRR). Ogni cittadino di Brembio, insieme alle attività e alle associazioni, potrà diventare socio consumatore o persino “prosumer” della CERS cioè anche produttore con il nuovo impianto solare.

Per il Comune di Guardamiglio ha preso la parola il consigliere Stefano Ghidini, che sta facendo da pilota anche per i vicini comuni di Santo Stefano Lodigiano e Corno Giovine, appartenenti alla stessa “cabina primaria” di distribuzione elettrica. In tutti e tre i comuni si è già tenuta l’assemblea cittadina e il consiglio comunale di Guardamiglio ha già votato l’adesione a “Comunità Solare”. Insieme alla Fondazione Mezzadri, il Comune intende diventare anche “prosumer” della CERS, con impianti solari realizzati sui tetti delle case popolari e della scuola pubblica.  Il Comune inoltre si è fatto promotore presso le imprese del territorio per la realizzazione di impianti importanti con il contributo PNRR. La prima ad aver risposto è stata la società Castagna.

Alberto Nicolini, AD di Castagna Univel spa, dirige media impresa che produce imballaggi (sacchetti e contenitori) in plastica per alimenti proprio a Guardamiglio. Tra i nuovi impianti realizzati dall’industria non mancheranno 880 kW di un impianto che “collegherebbero” virtualmente alla nostra CERS “Comunità Solare” ai consumatori della zona. Tutti ne trarranno benefici: il comune e tutti gli altri consumatori che aderiranno alla “Comunità Solare” potranno ricevere l’incentivo riconosciuto dalla rete elettrica per ogni kWh condiviso quando l’impianto di Castagna produce più di quanto consuma. Nicolini ha inoltre promesso di rinunciare al proprio ulteriore quota di guadagno e di volerlo destinare al “fondo solidale” destinato a progetti sociali per il territorio.

Fabio Zanardo (consigliere delegato del Comune di Cervignano d’Adda, ha presentato le tappe dell’adesione alla “Comunità Solare” e l’intenzione di concedere in comodato d’uso i propri tetti (municipio e scuola) per ospitare impianti solari comunitari in cambio dell’energia consumata direttamente dai propri contatori.

Laura Chiappa, presidente del circolo di Legambiente di Piacenza ha promosso la CERS “Comunità Solare” insieme ai lodigiani e lanciato a sua volta il quinto “GAS fotovoltaici” locale. Per Aurelio Ferrari, presidente della fondazione Danelli, aderire alla “Comunità Solare” realizzando con il contributo di Fondazione Cariplo dei propri impianti sarà indispensabile per affrontare gli elevati costi energetici necessari alla cura e all’assistenza dei ragazzi disabili e degli anziani non autosufficienti.

Ha chiuso l’incontro Barbara Meggetto, presidente di Legambiente Lombardia: “Raccontare queste esperienze ci aiuta a comprendere che l’energia deve essere prodotta e consumata in modo diverso. L’energia rinnovabile prodotta nelle esperienze delle CERS è un’opportunità che ci fa capire come farlo in modo giusto e sostenibile per tutti.” Vedi VIDEO interventi.

Per informazioni, comunitasolare@gmail.com, Scarica qui la locandina con il programma

La cucina a gas inquina più delle auto

La cucina a gas inquina più delle auto

L’inquinamento causato dai fornelli a gas nelle nostre cucine accorcia la vita di 12.706 italiani ogni anno, molto più che in qualsiasi altro paese d’Europa, secondo una recente ricerca scientifica condotta dai ricercatori dell’Università Jaume I in Spagna (la ricerca è scaricabile alla fine dell’articolo). Misure di inquinamento effettuate in migliaia di abitazioni hanno appurato che i limiti fissati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) per il diossido di azoto (NO2) vengono regolarmente violati in 14 paesi europei quando l’inquinamento di fondo si combina con i fumi delle cucine a gas.

Secondo i ricercatori, le morti premature ammontano a 39.959 in tutta Europa. Gli Stati più colpiti sono Italia, Polonia, Romania, Francia e Regno Unito, dove più famiglie cucinano con il gas. L’inquinamento è più grave nelle case con scarsa ventilazione e in cui si cucina di più. A causa delle cucine a gas la vita media si accorcia in Italia di poco meno di un anno.

Altri inquinanti come il benzene, la formaldeide e il particolato, prodotti dalle cucine a gas sono la causa di circa 367.000 casi di asma infantile e 726.000 casi in tutte le fasce d’età in Europa ogni anno.

La dott.ssa Juana Maria Delgado-Saborit, principale autrice dello studio, ha dichiarato: “Già nel 1978 abbiamo scoperto che l’inquinamento da NO2 è molto più alto nelle cucine che utilizzano fornelli a gas rispetto a quelle elettriche. Ma solo ora siamo in grado di quantificare il numero di morti prematuri. L’impatto è molto peggiore di quanto pensassimo, i nostri modelli suggeriscono che in metà delle abitazioni in metà Europa di superano i limiti dell’OMS. L’inquinamento esterno crea la base per questi superamenti, ma sono i fornelli a gas a spingere le abitazioni nella zona di pericolo.”

Il dottor Francesco Romizi, dell’associazione Medici per l’Ambiente (ISDE Italia) ha invitato le istituzioni ad “adottare misure per l’elettrificazione delle nostre abitazioni” e Legambiente promuove una campagna nazionale per togliere progressivamente il gas dalle case. Oggi la cucina elettrica a induzione è più conveniente dei vecchi fornelli a gas: la piastra costa meno, ingombra e consuma meno, richiede meno manutenzione. Per chi deve sostituire il gas, l’unico inconveniente potrebbe essere la necessità di dover sostituire le pentole con nuove in acciaio. Il cambio val bene un anno di vita in salute.

L’Europa, tra le misure per il Green Deal, prevede l’elettrificazione dei consumi domestici. Ma il 24 ottobre scorso il Consiglio d’Europa (che riunisce i governi nazionali) ha deciso contro il parere degli eletti al parlamento europeo, di privilegiare la competitività delle industrie. La presidente del Parlamento europeo Metsola ha promesso un voto di riparazione: “È nostro compito mantenere gli impegni”. I conservatori (industrie e governi) si dimenticano di spiegare perché cucinare in modo più salubre ed economico oppure usare bici, bus e auto elettriche dovrebbe ridurre la competitività europea.

Andrea Poggio

Clima e acqua: chi paga siccità e alluvioni?

Clima e acqua: chi paga siccità e alluvioni?

Gli squilibri del ciclo dell’acqua non minacciano solo gli ecosistemi: le precipitazioni più intense e i periodi di siccità provocano danni per miliardi di dollari, danneggiano i raccolti e fanno salire i prezzi degli alimenti, innescando crisi alimentari e ondate di emigrazione forzata. A livello locale costringono ad investimenti miliardari per diventarsi dalle ondate di piena dei torrenti: in Romagna si sono verificate ancora questa estate esondazione che erano previste con frequenze secolari. Coltivazioni come il mais e il riso richiedono precipitazioni abbondanti e regolari in certi periodi dell’anno, se cambiano le perdite divengono rilevanti e le compagne assicurative aumentano i prezzi. Così cambiano le coltivazioni: si sperimentano le prime coltivazioni di banane in Sicilia e si comincia a produrre il vino in Inghilterra.

Il ciclo globale dell’acqua sta diventando sempre più instabile a causa del cambiamento climatico, afferma l’ultima edizione del rapporto sullo stato delle risorse idriche pubblicato dall’Organizzazione meteorologica mondiale. Nel 2024, per il sesto anno consecutivo, il ciclo idrologico ha mostrato chiari segni di squilibrio. Due terzi dei bacini fluviali del pianeta hanno sperimentato condizioni anomale, con una portata significativamente più bassa o più alta rispetto alla media degli anni tra il 1991 e il 2020. Il 2024 è stato l’anno più caldo mai registrato, e le alte temperature hanno causato siccità più lunghe e intense in varie parti del mondo. Allo stesso tempo il riscaldamento ha favorito l’evaporazione dei mari e aumentato la capacità dell’atmosfera di trattenere l’umidità, provocando precipitazioni eccezionali altrove. Mentre il bacino delle Amazzoni e l’Africa meridionale hanno subìto siccità di proporzioni storiche, le alluvioni hanno provocato 2.500 vittime nell’Africa tropicale e più di mille in Asia e nel Pacifico, e in Europa hanno interessato l’area più vasta dal 2013. Per il terzo anno consecutivo in tutte le regioni è stata registrata una riduzione del volume dei ghiacciai, con una perdita totale stimata in 450 milioni di tonnellate.

Ma secondo il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, il riscaldamento globale non sarebbe altro che “la più grande truffa mai perpetrata nel mondo”. Le parole sono state pronunciate di fronte a circa 190 rappresentanti delle nazioni di tutto il mondo all’Assemblea generale dell’Onu a New York. Trump ha ordinato di oscurare i siti ufficiali che ospitavano le valutazioni nazionali sul clima e i rapporti scientifici che documentavano in maniera chiara e rigorosa gli impatti del riscaldamento globale negli Stati Uniti. Trump ha poi aggiunto che l’energia rinnovabile è una “barzelletta patetica”, che non funzionano: in questi primi giorni d’ottobre l’intero Regno Unito si è alimentato solo con elettricità dal vento per 72 ore finale. Infine ha aggiunto: ”Ho imposto un ordine permanente alla Casa Bianca. Non usare mai la parola ‘carbone’ da sola. Piuttosto si aggiunga ‘pulito e bello’. Suona molto meglio, no?”. Se lo dice lui…

Andrea Poggio (per Il Cittadino, 31 ottobre 2025)

Plastica, possiamo ridurla

Plastica, possiamo ridurla

Cinque anni fa, prima del Covid, in consiglio comunale si dibatteva di come ridurre la plastica. Bar e negozi si dichiaravano “plastic free”, liberi dall’usa e getta. L’Erbolario ha dichiarato di non usare microplastiche nei propri prodotti, perché la cosmesi ne fa un gran uso. Si proponeva di tornare ad usare materiali naturali nell’agroindustria e persino produrre bioplastiche da scarti agricoli. Buone intenzioni oggi un po’ dimenticate.

In occasione di Puliamo il Mondo, gruppi di volontari e scolaresche si dedicano ancor oggi a raccogliere i rifiuti che si disperdono: constatiamo che la plastica non viene degradata dai batteri, non fertilizza il suolo come succede per le foglie o le bucce. I sacchetti, le bottiglie, i teli in plastica usati in agricoltura, i vestiti in fibre sintetiche, le cassette o le tubazioni, i giochi o le componenti dure delle carrozzerie o degli elettrodomestici, se non raccolti e differenziati, se non li portiamo ai centri comunali di raccolta, si ritrovano nell’ambiente. Lì rimangono per decenni, per secoli. Si rompono, sfibrano, sotterrano o si disperdono grazie ai venti, alle piogge, ai corsi d’acqua e alle correnti marine. Le frazioni, le fibre, le micro e le nanoplastiche si ritrovano sugli alberi, galleggianti nelle acque dei mari, poi spiaggiati o depositati nei sedimenti profondi dei laghi alpini e degli oceani. Se ne nutrono gli animali, i pesci e gli uccelli marini, le tartarughe pensando di ingoiare meduse e, quando non strozzano o soffocano, si ritrovano nell’apparato digestivo, nel sangue, nei tessuti. Così le nanoplastiche entrano nei cibi acquistati e, dal piatto nei nostri corpi. 

Un recente studio pubblicato sulla rivista Nature Medicine ha rivelato una presenza di microplastiche nel cervello pari alla quantità di plastica che potrebbe essere contenuta in un cucchiaino. I livelli osservati erano da 3 a 5 volte più alti negli individui con una diagnosi documentata di demenza. I tessuti cerebrali mostrano concentrazioni da 7 a 30 volte superiori rispetto ai reni e al fegato. Documentata la presenza anche nello sperma, nella placenta e nel latte. Dal sito delle Fondazione Veronesi scopriamo che “l’aumento delle concentrazioni globali di microplastiche e nanoplastiche ambientali solleva preoccupazioni riguardo l’esposizione umana e gli effetti sulla salute”.

Dopo anni il 15 agosto scorso a Ginevra, in Svizzera, è fallito l’ultimo appuntamento del negoziato per stilare un Trattato globale sulla plastica. A chiedere di ridurre o eliminare gradualmente la plastica erano 74 stati marittimi o insulari, molti europei, ma non l’Italia. Contrari i maggiori produttori di combustibili fossili: Stati Uniti, Russia, diversi Paesi Arabi e ultimamente anche la Cina ed altri Paesi del sud est asiatico. Così nel mondo cresce la produzione di plastica: nel 2022 400 milioni di tonnellate, il doppio del 2000. In Europa ben 58 milioni e appena l’1% di bioplastiche. Quasi il 70% diviene subito rifiuto (per metà imballaggi) e solo il 25% viene riciclato. A causa della plastica in Europa si emettono 252 milioni di tonnellate di CO2, 58% nella produzione e trasformazione dei prodotti in plastica e il 42% a causa delle emissioni causate dagli inceneritori. Ne abbiamo di strada da fare.

Andrea Poggio

Inquinamento atmosferico da fonte agricola e zootecnica in Lombardia e a Lodi

Domani Forum “Agricoltura e clima” della Regione Lombardia a Lodi. Per legambiente: “Ammoniaca e metano sono sempre più protagonisti della cattiva qualità dell’aria e concorrono in modo rilevante alla crisi climatica, serve una strategia per ridurne le emissioni. Eccesso di capi allevati e di consumo di fertilizzanti alla base del problema.” Ristrutturare le filiere alimentari padane per una zootecnia che produca meglio, ma meno.

Con l’uscita di scena dell’estate è già il momento di prepararsi all’inevitabile aumento degli inquinanti che accompagna le tiepide atmosfere autunnali. Sempre più protagonista, in termini di emissioni atmosferiche, è l’agricoltura: la pianura padana vanta una spiccata vocazione zootecnica nelle produzioni del settore primario, base delle eccellenze produttive del comparto alimentare affidate ai simboli della DOP economy italiana: Grana Padano, Prosciutto di Parma e Parmigiano Reggiano. Se il valore di queste specialità è fuori discussione in termini di qualità e di contributo alla bilancia commerciale, occorre fare i conti con gli effetti che la spinta produttivistica determina, in particolare sulle consistenze dei capi bovini e suini allevati, per far fronte agli ordinativi dell’industria di trasformazione.

Una delle conseguenze più evidenti dell’eccesso di capi allevati e di colture foraggere intensive in Pianura Padana è il dato emissivo: per sostenere livelli produttivi così elevati la fertilità naturale dei terreni coltivati non basta, occorrono grandi input supplementari di nutrienti, sia per i suoli che per gli animali allevati. In particolare per mantenere l’attuale livello delle produzioni che incarnano il ‘made in Italy’ alimentare occorre importare tanti nutrienti a base di azoto: in particolare dalla Russia che, nonostante le sanzioni, è di gran lunga primo produttore mondiale di urea agricola, il fertilizzante più impiegato, ma anche con i concimi chimici non si arriva a soddisfare il fabbisogno mangimistico delle mandrie lombarde: occorrono ulteriori apporti sotto forma di proteine somministrate agli animali allevati, ed in particolare soia che sbarca dal Sud America, e mais dall’Europa orientale. Gran parte dell’azoto di fertilizzanti e mangimi finisce, prima o poi, nelle decine di milioni di tonnellate di reflui zootecnici distribuiti nei campi. Il problema è che la quantità di azoto somministrata eccede le necessità delle colture, per questo deve essere smaltita in diversi modi, come inquinante delle acque (sotto forma di nitrati) e dell’aria come ammoniaca. Un altro importante ‘prodotto di scarto’ degli eccessi di fertilizzanti è il protossido d’azoto, potente gas climalterante con un ‘potere riscaldante’ per l’atmosfera ben 273 volte più elevato della CO2.

Così campi e stalle in Lombardia sono la fonte del 95% delle emissioni lombarde di ammoniaca, 93.000 tonnellate in totale secondo i calcoli di ARPA. Si tratta di un quarto del dato nazionale per questa molecola gassosa, una quantità impressionante se si considera che in termini di superfici coltivate la Lombardia rappresenta solo il 7% del totale nazionale. Se poi si guarda oltre i confini, alle altre regioni a spiccata specializzazione zootecnia – Piemonte, Emilia Romagna e Veneto – si arriva a 230.000 tonnellate, il 66% del totale nazionale per questo gas, tutte concentrate nella pianura che già deve a traffico e impianti di riscaldamento il primato dell’aria più inquinata d’Europa.

Ciò ha gravi conseguenze perché l’ammoniaca, nella stagione fredda, si combina con gli altri inquinanti (come gli ossidi di azoto, NOx, prodotti soprattutto dai veicoli diesel) per formare microcristalli di sali che costituiscono una quota crescente delle polveri sottili,specie nei centri minori del sud Lombardia in cui la presenza di allevamenti è maggiore: non è un caso se le centraline ARPA del basso lodigiano, cremasco e cremonese hanno spesso livelli  di PM10 e PM2.5 decisamente più alti di quelli misurati nel centro di grandi città come Milano o Brescia.

Le Regioni stanno giustamente sostenendo gli agricoltori affinché migliorino la gestione dei liquami per ridurre le emissioni: la copertura delle vasche dei liquami, le buone pratiche per la distribuzione in campo, il convogliamento dei liquami ad impianti per la produzione di biometano, sono tutte azioni positive e necessarie, ma devono accompagnarsi alla riduzione degli input. Il problema è che gli eccessi di azoto non sono facili da nascondere sotto il tappeto, le buone pratiche possono limitare le emissioni in atmosfera ma, se non sono accompagnate dalla riduzione degli apporti, trasferiscono i problemi ai suoli e alle acque.

“Accogliamo con favore l’indicazione di una messa al bando dell’urea, prevista dal decreto ministeriale per la lotta all’inquinamento pubblicato quest’estate. Abbandonare il fertilizzante chimico richiede una migliore valorizzazione dei fertilizzanti organici e in particolare dei digestati, è un passo nella direzione giusta, ma occorre anche limitare l’eccessiva produzione di reflui d’allevamento, riducendo il numero di capi a livelli compatibili con le superfici foraggere, così da evitare la massiccia importazione di mangimi esteri” commenta Damiano Di Simine, responsabile della campagna ‘MetaNo – Coltiviamo un altro clima’ di Legambiente Lombardia. Produrre meno non è necessariamente una perdita economica, se la minor produzione è compensata da una maggior valorizzazione in termini di distintività e legame con il territorio dei prodotti alimentari: si tratta di sviluppare strategie di marketing e di consumo sostenibile che facciano i conti con le potenzialità del territorio. Quando lo si è fatto, ad esempio nelle produzioni vinicole, i risultati in termini di valore del prodotto e di reddito non si sono fatti attendere!

Troppi capi allevati significa anche emissioni climalteranti. E’ soprattutto l’allevamento bovino a determinare massicce produzioni di metano, gas serra con un potenziale di riscaldamento 85 volte superiore a quello della CO2. Anche in questo caso la Lombardia spicca tra le fonti emissive: l’agricoltura lombarda infatti ne rilascia ben 235 .000 tonnellate annue, pari al 70% delle emissioni regionali di metano. Per fare un confronto, l’agricoltura di tutto il resto d’Italia ne rilascia 509.000 tonnellate (dati ISPRA): questo significa che l’agricoltura Lombarda ha una intensità di emissioni di metano 6 volte più alta del resto d’Italia. Tradotto in CO2 equivalente, complessivamente la fonte agricola pesa per il 10,2% di tutte le emissioni climalteranti della Lombardia, come dire la metà di tutte le emissioni del settore dei trasporti, secondo i dati di ARPA Lombardia.

La riduzione delle emissioni di metano rappresenta una priorità, si tratta infatti di un ‘inquinante climatico’, perché oltre a causare riscaldamento atmosferico è anche il principale precursore della formazione di ozono, una molecola a sua volta climalterante, ed estremamente tossica per la salute umana ed anche per le vegetazioni, arrivando a causare importanti perdite di rese nei raccolti.  Anche in questo caso l’agricoltura si conferma come il settore economico che più subisce gli effetti di cambiamenti climatici e inquinamenti: secondo l’agenzia europea dell’Ambiente, il danno economico della perdita di raccolti dovuto all’inquinamento da ozono in UE vale circa 2 miliardi di euro: un motivo in più per mettere in cima alle agende agricole i temi della sostenibilità climatica

Per maggiori informazioni sulle emissioni di fonte agricola scarica i dossier della campagna MetaNo – Coltiviamo un altro clima https://www.legambientelombardia.it/metano-e-agricoltura/ 

Lodi, 18 settembre 2025

Rinnovabili senza consumo di suolo

Nella “puntata” precedente abbiamo appurato che il lodigiano detiene il primato (secondo solo al brindisino) delle centrali elettriche a metano fossile, quasi 2.800 MW. E’ ora di domandarci come possiamo liberarcene, e liberarci insieme dalle ingiustizie del caro metano, del caro bollette e delle conseguenze della crisi climatica.

“Occorre accelerare lo sviluppo di generazione elettrica pulita.”, raccomandava Mario Draghi a marzo scorso al Parlamento presentando il rapporto sul Futuro della Competitività Europea. “In Italia sono disponibili decine di gigawatt di impianti rinnovabili in attesa di autorizzazione”. “È indispensabile semplificare e accelerare gli iter autorizzativi e avviare rapidamente gli strumenti di sviluppo.”.

Succede il contrario. L’associazione delle industrie elettrotecniche (ANIE) informa che nel secondo trimestre 2025 la crescita degli impianti fotovoltaici ha subito un rallentamento: appena 1.092 MW di nuova potenza installata, in calo del 25% rispetto allo stesso periodo del 2024 e del 18% rispetto al primo trimestre di quest’anno. Il calo ha riguardato soprattutto i grandi impianti, quelli oltre i 10 MW come gli agrivoltaici, che si sono dimezzati. Non bene anche gli impianti sotto 1 MW, per le piccole imprese (-31%) e per quelli domestici con potenza inferiore ai 20 kW (-23%).

A rallentare non è certo la domanda: il 31 maggio le richieste di connessione in alta tensione per il fotovoltaico si attestavano a 154.570 MW di potenza, ben di più di quel che servirebbe per centrare gli obiettivi del piano governativo al 2030. Ma quelle con esito positivo sono appena 6.450 MW e appena mille quelle realizzate in tre mesi. Ne dovremmo realizzare 10.000 MW all’anno per rispettare i piani. La causa? Le leggi scritte male, le tante burocrazie statali e regionali, le campagne mediatiche denigratorie, la politica che rinvia.

Anche a Lodi le richieste di impianti fotovoltaici non mancano: sul sito della provincia sono censiti impianti in corso di autorizzazione per 114 MW, a cui andrebbero aggiunti quelli di competenza ministeriale, come quello di Mulazzano (60 MW). Appena il 2 per mille delle domande di autorizzazione nazionali bussa alle nostre porte, molti di più di quelli che si realizzano. Sappiamo dai dati della Regione Lombardia (fermi al 2023), che il 73% dei 151 MW fotovoltaici installati in provincia di Lodi è stato realizzato più di dieci anni fa e forniscono appena il 12,5% dei nostri consumi. Appena il 20% dei tetti delle 40.000 costruzioni lodigiane (case, capannoni o edifici rurali), risultano parzialmente occupati dagli oltre 6 mila impianti solari, per lo più di piccole dimensioni.

A Lodi stiamo realizzando poco più di 10 MW all’anno. Per coprire il 40% dei nostri consumi elettrici al 2030, dovremmo installare 500 MW fotovoltaici, quindi 100 MW all’anno, dieci volte tanto. Impianti piccoli e medi sugli edifici e i capannoni, e alcuni più grandi agrivoltaici, con filari di pannelli ben distanziati, a tre metri di altezza, che non fanno perdere neanche un metro al suolo agricolo coltivato, come in Spagna e Germania dove la bolletta costa meno.

Prima puntata: Per chi non sceglie, tutto è una minaccia.

Seconda puntata: Primato del fossile nel Lodigiano.

Andrea Poggio

Lodigiano: primato nazionale nell’energia fossile

La centrale termoelettrica di Tavazzano, con i suoi 1.970 MW, è una delle più grandi d’Italia, in compagnia solo di quelle di potenza analoga di Civitavecchia e Brindisi. Se consideriamo anche il turbogas Bertonico, con i suoi 800 MW, il lodigiano è seconda in Italia, dopo Brindisi e seguita dalla vicina Piacenza, ad ospitare tanta potenza termoelettrica fossile. La provincia di Lodi è ai vertici nazionali per emissioni di anidride carbonica sia per unità di superficie che per popolazione, come ha attestato anche il Piano provinciale di governo del territorio appena approvato.

In pieno centro urbano a Lodi nella primavera del 2022 è stata realizzata l’ultima caldaia a metano fossile da 20 MW del “teleriscaldamento”, in contro tendenza rispetto alle scelte della stessa utility A2A che a Milano predilige pompe di calore geotermiche rinnovabili.

Oltre ai metanodotti che attraversano le campagne, ospitiamo l’Ital Gas Storage che gestisce a Cornegliano Laudense un deposito sotterraneo da 1,6 miliardi di metri cubi, uno dei 13 in Italia. Controlli agli infrarossi svolti a distanza da Legambiente a maggio dello scorso anno hanno documentato le elevate emissioni fuggitive di metano dagli impianti di Cornegliano. Le fughe di metano sono la seconda causa, dopo la CO2, della crisi climatica che sta colpendo con eventi atmosferici estremi, siccità e incendi territori in tutto il mondo.

La crisi climatica colpisce anche da noi: il mese di giugno di quest’anno è stato il più caldo di sempre, con punte di +3,49 gradi in Italia rispetto al trentennio climatico 1991-2020. A giugno si è verificato un aumento dei decessi di anziani rispetto all’atteso di 20 unità a Milano e 12 a Bergamo, secondo il Sistema di allarme del Sistema Sorveglianza della Mortalità Giornaliera del Ministero della Sanità. L’Agenzia europea dell’Ambiente (Aea) osserva come le ondate di calore siano responsabili del 95 per cento dei decessi causati da eventi meteorologici e climatici estremi, ben 47 mila decessi nell’estate 2023 e costi pari allo 0,5 per cento del Pil: cifra che potrebbe salire al 3 per cento nei Paesi meridionali più colpiti entro il 2060, quando “le ondate di calore pericolose per la salute umana diventeranno più frequenti, più lunghe e più intense”, scrive l’Aea. Più colpiti i poveri, i deboli, gli anziani e i bambini.

Non chiamatelo caldo, è crisi climatica. Non sono fenomeni naturali, ma ingiustizia climatica. Per l’Osservatorio nazionale contro la povertà energetica sono ben 2 milioni, l’8% delle famiglie al di sotto di una certa soglia di reddito che hanno una spesa energetica (elettricità e riscaldamento) più elevata: soprattutto al sud e nelle isole, nei piccoli comuni, con figli, disoccupati o lavori saltuari, immigrati.

Il metano è oggi anche l’energia più cara, che dal 2024 importiamo sempre più dai giacimenti di metano dell’Alaska, sponsorizzati dagli USA di Trump sotto la minaccia di nuovi dazi. Peggio del gas russo usato in precedenza per due ragioni: costa il doppio e inquina quanto il carbone per estrarlo. Eppure liberarci dal metano, anche a Lodi, è oggi possibile e conveniente.

Prima puntata: Per chi non sceglie, tutto è una minaccia.

Andrea Poggio

Riflessione: per chi non sceglie, ogni novità è una minaccia

Siamo sicuri che ogni novità rappresenti una minaccia? Sicuri che ogni nuovo insediamento industriale sia da osteggiare?

Ieri i capannoni di logistica industriale ed ora i data center, dove si concentrano i computers per l’elaborazione delle informazioni utili all’industria, ma anche ai servizi al cittadino. Alcuni insediamenti sono senz’altro da evitare e osteggiare, come il nuovo inceneritore industriale di Itelyum-Ecowatt a Vidardo. Altri si sarebbero dovuti impedire, come il nuovo gruppo a metano fossile della centrale elettrica di Tavazzano. Ma siamo sicuri che debbano essere considerati una minaccia tutte le superfici occupate dai pannelli solari, anche quando rispondono a tutte le norme delle coltivazioni “agrivoltaiche”, anche quando dotati di ottimi e dettagliati piani agronomici e non fanno perdere neanche un metro di terreno agricolo coltivato? L’agrivoltaico può permettere una agricoltura di precisione e migliorare le produzioni sostenibili e di qualità, le energie rinnovabili elettriche possono consentire di svincolarci dal costo del metano fossile.

Sono sempre una minaccia gli impianti di biometano, anche se da scarti dell’agroindustria o dalla depurazione dei liquami? E gli impianti di compostaggio e di riciclaggio dei nostri rifiuti? Nell’economia globale qualsiasi lavorazione implica l’arrivo di semilavorati da altre fabbriche nel mondo e la spedizione del prodotto in tante nazioni: nel lodigiano o in Lombardia si svolge solo una parte dei cicli produttivi, auspicabilmente ad alto valore aggiunto e con personale qualificato. Gli insediamenti del futuro sono (quasi) tutti classificabili come “logistica industriale” o collegati a reti logistiche continentali se non mondiali: è importante che comportino un consumo di suolo limitato e siano collegati al trasporto ferroviario ed elettrico. Sta a noi, italiani e lodigiani, sapere argomentare e difendere dei sì e dei no. Anzi, più spesso ancora saper attrarre, condizionare e orientare gli investimenti di capitale nella direzione auspicata.

“La conversione ecologica potrà affermarsi soltanto se apparirà socialmente desiderabile”, sosteneva uno dei grandi padri dell’ambientalismo italiani ed europeo, Alexander Langer nel 1994, un anno prima di morire devastato dall’impotenza del conflitto nei Balcani, a pochi chilometri dai confini italiani. Ero amico di Alex Langer, abbiamo lottato strenuamente contro il nucleare, ma appassionatamente a favore del solare. Il mondo non è solo popolato di minacce e paure, ma anche di speranza e desiderio di cambiamento. 

L’Italia del secolo scorso scommetteva nel futuro ed è diventata la terza industria europea e la sesta o settima al mondo. Poi abbiamo smesso di investire: da trent’anni investiamo molto meno del resto d’Europa, salvo una ripresa dal 2023 grazie ai fondi europei del PNRR, in gran parte nel green e digitale. Smettere di innovare ed investire, vuol dire arretrare: in Germania gli stipendi sono diventati il 50% più alti dei nostri, in Francia il 27%. La conversione verde, l’uso efficiente dell’energia e le rinnovabili, l’economia circolare, la sanità, così come il digitale e i servizi informativi che tutelano il cittadino prevedono investimenti in impianti e reti innovative.

E infine, qual’è l’alternativa? La conservazione dell’esistente? Nel lodigiano sono attive 13.500 imprese, erano oltre 16 mila nel 2008. L’agricoltura perde ogni anno tra 50 e 100 ettari di superficie coltivata. Cresce molto poco la ricchezza prodotta, diminuisce troppo poco l’inquinamento, sono fermi i redditi delle famiglie. E industria e redditi sono minacciati dai dazi e dalle guerre.

Andrea Poggio

Agrivoltaico e futuro dell’agricoltura

Agrivoltaico e futuro dell’agricoltura

Martedì 1 luglio 2025, con il patrocinio della Provincia di Lodi, Legambiente ha promosso un confronto scientifico e politico sui dibattuti progetti “agricoltrici” in Provincia di Lodi e in Pianura Padana. Un convegno utile a distinguere guerre tra progetti sbagliati e quelli giusti, distinguere il finto agrovoltaico a cui negare l’autorizzazione e i progetti di valore che possono aiutare davvero ambiente, agricoltura e produzione di energia rinnovabile pulita.

Ecco cosa si è detto all’incontro: qui trovate il comunicato stampa del regionale di Legambiente. Di seguito un riassunto di tutti gli interventi; un commento di Andrea Poggio e le presentazioni dei relatori tecnici:

Barbara Meggetto (Presidente Legambiente Lombardia) L’agrivoltaico può offrire un’opportunità non solo per l’agricoltura, ma anche per le filiere industriali lombarde: non si tratta solo di pannelli “Made in China”, ma di impianti che richiedono strutture metalliche, sensoristica, elettronica e automazione, ambiti coperti da imprese lombarde ad alta specializzazione. La filiera agrivoltaica può diventare un esempio virtuoso di simbiosi agro-industriale, contribuendo sia alla transizione energetica sia allo sviluppo economico locale.

Fabrizio Santantonio (Presidente Provincia Di Lodi) Ha sottolineato la necessità di trovare un equilibrio tra produzione di energia rinnovabile, tutela del paesaggio e redditività agricola, valorizzando la vocazione agricola e zootecnica del Lodigiano. Ha evidenziato come l’intensificazione delle richieste di impianti fotovoltaici nel territorio stia creando situazioni complesse (es. Cascina Triulza a Codogno, Mulazzano).

Un punto centrale è l’obiettivo regionale: la Lombardia dovrà installare quasi 9000 MW di nuova potenza fotovoltaica entro il 2030, come parte del contributo al PNIEC (Piano Nazionale Integrato Energia e Clima), che prevede 80-85 GW di fotovoltaico installato in Italia entro il 2030. Da qui, l’urgenza di individuare aree idonee, favorire una localizzazione diffusa degli impianti e garantire una gestione territoriale oculata per non compromettere l’uso agricolo dei suoli.

Paolo Lassini (Dr Forestale – ODAF Milano Lodi Pavia Monza E Brianza) Ha evidenziato che l’agrivoltaico può rappresentare una forma evoluta di multifunzionalità agricola, ma va attentamente progettato per evitare effetti collaterali.
Ha richiamato il quadro normativo dell’agrivoltaico:

  • Art. 65 del DL 1/2012 – introduce la definizione di “agrivoltaico avanzato”
  • D.Lgs. 199/2021 – regola l’individuazione di aree idonee e criteri progettuali
  • DM 21/06/2024 – Decreto Aree Idonee
  • DM 436/2023 – incentivi PNRR
  • PdL Giunta Regionale 15/04/2025 – individuazione aree idonee in Lombardia

Inoltre, ha ricordato che per fare impianti agrivoltaici sostenibili e ben integrati servono linee guida e standard tecnici come quelli elaborati dal MASE, da UNI e dall’Emilia White Paper.
L’agrivoltaico ben progettato è uno strumento per incrementare la produttività e la resilienza delle aziende agricole, migliorare l’uso del suolo e contribuire alla transizione ecologica.

Stefano Arvati (Associazione Italiana Agrivoltaico Sostenibile – AIAS) Ha definito l’agrivoltaico una rivoluzione necessaria, evidenziando la confusione attuale e la mancanza di volontà politica di entrare nel merito del tema. Ha spiegato che l’agrivoltaico integra produzione di energia e cibo, e ha distinto tra veri e falsi agrivoltaici. Ha citato ricerche di università italiane (Piacenza, Bologna) che dimostrano come l’agricoltura migliori grazie all’agrivoltaico, sottolineando la flessibilità di questa tecnologia che non esclude alcuna coltivazione. Ha affermato che l’agrivoltaico è fondamentale per la valorizzazione dei territori e per raggiungere gli obiettivi energetici della Lombardia, ricordando il basso costo dell’energia solare rispetto a tutti gli altri tipi di energia incluso il nucleare e i vantaggi in termini di indipendenza energetica. Inoltre, ha descritto due modelli di agrivoltaico:

  • Avanzato: pannelli sollevati, progettazione agronomica specifica, ideale per aziende dirette e colture di pregio.
  • Avanzato/estensivo: per grandi aziende in pianura, con pannelli a minore altezza e meccanizzazione spinta.

Infine, ha citato uno studio AIAS–Althesys (in uscita), che stima 11,9 miliardi di euro di ricadute economiche per il sistema Paese dall’adozione dell’agrivoltaico avanzato.

Alberto Massa Saluzzo (Dr Agronomo – Studio Gerundo Associati) Ha illustrato i criteri agronomici e ambientali che gli impianti agrivoltaici devono rispettare:

  • almeno il 70% della superficie deve essere coltivata;
  • risparmio idrico con sensoristica e stazioni meteo;
  • monitoraggio continuo da parte di un agronomo della resa colturale e del mantenimento della vocazione agricola;
  • rilevazione microclimatica e del suolo (umidità, nutrienti, temperatura).

Riguardo ai danni dell’agrivoltaico al paesaggio, ha proposto 2 soluzioni: elementi di mascheramento e protezione ad esempio siepi e elementi di rinaturalizzazione ad esempio zone ricche di acqua.

Paolo Uggè (Azienda TA Srl) Ha presentato tecnologie prodotte dalla sua azienda che sono costruttive ossia riducono l’impatto ambientale: strutture metalliche senza fondazioni in cemento, simili a quelle delle vigne, removibili e adattabili. Ha sottolineato l’importanza di progettare impianti che non compromettano il ripristino agricolo a fine vita.

Ing. Alessandro Bellotti (Kernel Sistemi, Partner Di TA Srl) Ha illustrato le tecnologie digitali per ottimizzare l’agricoltura sotto pannelli, tutte ecologiche:

  • tracker solari per ottimizzare luce e raccolta acqua;
  • sistemi di gestione intelligente dell’irrigazione;
  • sensori ambientali (temperatura, irraggiamento solare) e del suolo (umidità, temperatura, pH, conducibilità);
  • sistemi di comunicazione integrata con pannello di controllo tracker e sistema di irrigazione

Ing. Valentina Cursio (Circolo Legambiente LodiVerde) Ha proposto di vincolare i grandi progetti agrivoltaici a un monitoraggio agronomico indipendente, possibilmente un Osservatorio Agrivoltaico Provinciale che coinvolga l’Università, oltre agli imprenditori ed enti locali e dimostri l’importanza e il beneficio dell’agrivoltaico per 20 anni. Il monitoraggio permetterebbe di costruire un repertorio pubblico di dati utile allo sviluppo sostenibile del settore. Questo risolverebbe la difficoltà di Province e Comuni a valutare progetti complessi senza competenze tecniche ed agronomiche adeguate, rischiando di approvare soluzioni inadeguate o speculative. Ha ribadito che il reddito da energia deve integrarsi con quello agricolo, sostenendo la sostenibilità economica delle aziende agricole.

Alessandro Rota (Presidente Coldiretti Milano, Lodi, Monza E Brianza) Ha denunciato i problemi burocratici che rallentano le pratiche inerenti il fotovoltaico. Ha sottolineato l’importanza di applicare l’agrivoltaico alle colture sia di grandi che di piccole dimensioni e di investire anche su tecnologie idroelettriche.

Antonio Boselli (Presidente Confagricoltura Lombardia) Ha auspicato che l’agrivoltaico resti un’opportunità principalmente per le piccole aziende agricole, affinché non si comprometta la tutela del territorio e si eviti una gestione esclusivamente industriale e poco sostenibile.

Damiano Di Simine (Responsabile Scientifico Legambiente Lombardia) Ha evidenziato l’esistenza di una domanda energetica elevata e il costo dell’energia in Italia superiore alla media europea. Vede nell’agrivoltaico un’occasione storica per l’agricoltura di tornare a essere protagonista anche nel settore energetico, sottolineando la maggiore efficienza del fotovoltaico rispetto ad altre fonti rinnovabili come il biogas. Ha invitato a promuovere il dialogo e la cooperazione tra agricoltori e aziende per rendere l’agricoltura più varia, resiliente e capace di presidiare il territorio.

Francesco Brignone (Direzione Generale Agricoltura Regione Lombardia) Ha ribadito l’importanza di individuare chiaramente le aree idonee e non idonee per l’installazione di impianti agrivoltaici. Ha sottolineato che l’agrivoltaico deve essere realizzato con il coinvolgimento degli agricoltori e ha indicato come priorità l’uso dei tetti agricoli per evitare consumo di suolo. Ha rilevato che finora i progetti in Lombardia sono spesso standard e poco innovativi e ha chiesto maggiore sperimentazione e ascolto delle esigenze territoriali, invitando alla prudenza.

Mauro Salvalaglio (Consigliere Delegato Agricoltura Provincia Di Lodi) Ha dichiarato che, pur condividendo l’importanza dell’indipendenza energetica e delle rinnovabili, serve prudenza e sperimentazione concreta sul campo. Ha messo in guardia contro la sottovalutazione delle perplessità espresse dalle pubbliche amministrazioni, sottolineando che spesso riflettono un’esigenza di approfondimento reale e non ignoranza. Ha inoltre auspicato un maggiore coinvolgimento delle comunità locali nelle decisioni sugli insediamenti di impianti agrivoltaici. 

Alcune riflessioni a conclusione del seminario

Le rappresentanze politiche (in Provincia, Regione e Governo) e degli agricoltori non possono solo manifestare diffidenze e preoccupazioni contro tutti i progetti agrivoltaici, per poi accingersi ad autorizzarli, dichiarandosi impotenti di fronte alla legge che hanno recentemente approvato.

Crediamo che la legge e le norme consentano invece di capire quali progetti autorizzare e quali no, in base a precisi criteri tecnici, ambientali ed agronomici. E, quando la legge fa riferimento alle migliori conoscenze e tecnologie, al seminario del 1 luglio, agronomi e ingegneri, abbiamo ben fatto comprendere quale sia lo stato delle conoscenze, delle tecnologie e degli studi di settore. L’Università di agraria di Piacenza ha realizzato un campo agrivoltaico sui suoi terreni in quella città.

Credo che l’incontro, abbia chiaramente fatto comprendere che la produzione di energia elettrica insieme alle coltivazioni sia certamente parte dell’agricoltura e degli allevamenti del futuro. Quattro autorevoli agronomi hanno spiegato come l’uso di certe tecnologie fotovoltaiche consentano alcune produzioni alimentari di qualità minacciate dai cambiamenti climatici. Gli esperti di impianti hanno dimostrato come ci siano tecniche fotovoltaiche (anche della lodigiana TA srl) che non sottraggono neanche un metro alla coltivazione e che hanno lo stesso grado di invasività nel terreno dei pali di sostegno usati in viticoltura o nei frutteti. Insomma, gli esperti hanno spiegato bene quali potrebbero essere i criteri per distinguere progetti agrivoltaici fatti bene e quelli fatti solo per smettere di coltivare.

Ci si domanderà, come fare a garantire che – dopo l’autorizzazione – anche i migliori progetti agronomici abbiano un seguito? Il circolo di Lodi di Legambiente ha proposto alla Provincia di Lodi un Osservatorio permanente affidato all’Università e pagato dai 10 più grandi investitori di agrivoltaico per monitorare e studiare i risultati delle coltivazioni per 20 anni. E chi smette di coltivare? La legge prevede multe salate, anche 200 mila euro, a chi smette di coltivare.

Sappiamo che il lodigiano ha perso 868 ettari di superficie agricola utilizzata tra il 2000 e il 2010: il fenomeno di aziende chiuse e conoscenze scomparse continua anche ora non certo a causa del solare. Il solare invece può essere un nuovo alleato dell’agricoltura del futuro. Al seminario ambientalisti, agronomi ed ingegneri hanno spiegato come. Ora sta alla politica prendere le decisioni (commento finale a cura di Andrea Poggio del 2 luglio 2025)

ECCO LE PRESENTAZIONI DELLE PRINCIPALI RELAZIONI TECNICHE: qui trovate quelle di Bellotti, Arvati e Massa. E qui di seguito potete scaricare quella di Lassini:

Inceneritore mega di Vidardo: prima vittoria

Inceneritore mega di Vidardo: prima vittoria

Il tribunale amministrativo di Milano ha respinto la richiesta di Itelyum (nuovo padrone del piccolo e vecchio inceneritore Ecowatt, di procedere con l’iter di approvazione del nuovo progetto di mega inceneritore di rifiuti industriali e pericolosi. Se ne riparlerà non prima di ottobre prossimo, quando sarà compiutamente in vigore non solo il nuovo Piano Territoriale della Provincia, ma anche -probabilmente – la revisione del piano rifiuti e riciclaggio della Regione Lombardia.

Ecco quanto scrive “Il Cittadino”: Ecowatt nel suo ricorso al Tar solleva la questione dell’incostitu-zionalità della norma che prevede la sospensione del procedimento. Il Tribunale amministrativo, stante che il danno lamentato da Ecowatt avrebbe natura patrimoniale, sottolinea come il caso di specie debba essere sottoposto «a un test giudiziale più severo» sui dubbi di costi-tuzionalità. Lo stop al procedimento «per un arco temporale circoscritto non può ritenersi in sé fonte di un pregiudizio di tale natura». E per di più, prosegue il Tribunale amministrativo, non è detto che Regione si esprima per accogliere le prescrizioni richieste dalla Provincia, che bloccherebbero l’ampliamento. Dunque, tutto rinviato al 2 ottobre per il merito della questione, cioè l’incostituzionalità della norma regionale, quando però il caso specifico Ecowatt avrà già preso altre direzioni.”
Quindi, per riassumere: per ora 1 a zero e palla al centro, ma la partita è ancora tutta aperta.

Agrivoltaico, che cos’è? E’ un futuro per l’agricoltura

Agrivoltaico, che cos’è? E’ un futuro per l’agricoltura

Il Circolo di Lodi di Legambiente LodiVerde ha scritto qualche giorno fa al Presidente della Provincia, Fabrizio Santantonio, per proporgli, in accordo con i Comuni interessati, di chiedere agli imprenditori che presentano i progetti più rilevanti, per investimento ed estensione territoriale, di finanziare annualmente una ricerca agronomica che monitori e verifichi il raccolto dei terreni che ospitano gli impianti agrivoltaici.

Non è possibile infatti che si affronti un tema del futuro, come le coltivazioni agricole che ospitano, anche senza perdere neppure un metro di terra, pannelli solari che incrementano il reddito agricolo anche con i proventi dell’energia elettrica. Pochi sanno che gran parte degli impianti agrivoltaico non sono finanziati. Non ce n’è bisogno. Sono il modo più economico per produrre energia elettrica.

Prima di tutto occorre fare chiarezza. Una cosa è il fotovoltaico a terra che va permesso solo in determinate aree, di minor pregio o persino compromesse anche dalla vicinanza di infrastrutture ad alto impatto, come le autostrade.

Altra cosa sono i progetti agrivoltaici, che adottano soluzioni volte a preservare la continuità delle attività di coltivazione agricola e pastorale sul sito di installazione. Poi ci sono i progetti “agrivoltaici avanzati”, che adottano soluzioni innovative con montaggio dei moduli elevati da terra, o persino la loro rotazione in modo da non compromettere la continuità delle attività di coltivazione e, eventualmente, consentire l’applicazione di strumenti di agricoltura digitale e di precisione.

Le applicazioni agrivoltaiche avanzate permettono di verificare l’impatto dell’installazione fotovoltaica sulle colture, la produttività agricola per le diverse tipologie di colture, il risparmio idrico, il recupero della fertilità del suolo, il controllo del microclima e la resilienza ai cambiamenti climatici. Si stanno già sperimentando anche in Italia campi solari che aiutano e migliorano la redditività agricola. E’ il solare che fa del bene all’agricoltura.

In questi casi non ha senso impedirne la diffusione o limitarne l’applicazione proprio sul suolo coltivato. E’ proprio lì che va fatto. Semmai può essere di grande interesse prevedere un sistematico e duraturo monitoraggio, una ricerca pluriennale per verificare i risultati nel tempo. Sapere se l’erba medica si può coltivare per anni, se meglio prevedere comunque rotazioni, se davvero l’asparago cresce meglio all’ombra intermittente del solare. Sappiamo che certi terreni si adattano meglio a certe coltivazioni. Possiamo azzardare che l’abbinata tra coltivazione e suolo debba adattarsi alle diverse disposizioni dei pannelli, più o meno elevati, fissi o mobili, oppure bifacciali e disposti in verticale. Il futuro dell’agricoltura di qualità si progetta con lungimiranza tenendo insieme studio della terra, progetto fotovoltaico, evoluzione delle coltivazioni e cambiamenti climatici.

“Si finanzi così un report annuale che per vent’anni valuti i risultati agronomici dei diversi progetti lodigiani e favorisca la condivisione e la valutazione dei risultati”, hanno scritto quindi Andrea Sari e Andrea Poggio, rispettivamente presidente e segretario del circolo Legambiente, alla Provincia di Lodi, “Lo scopo è di orientare il buon sviluppo dell’agrivoltaico e dimostrare che può davvero migliorare l’ambiente e l’agricoltura. L’agrivolatico non è e non deve essere una scusa per abbandonare le coltivazioni.”

Ora la Provincia e i Comuni si vedono proporre progetti, anche di notevole estensione, senza avere la possibilità e le competenze necessarie per valutarne la validità e, soprattutto, l’efficacia nel tempo. Ebbene, se i primi dieci maggiori progetti finanziassero con appena cinque mila euro all’anno un istituto universitario, potrebbe nascere una ricerca di importanza decisiva e, insieme, un sistema virtuoso e partecipato di verifica che l’agrivoltaico non sia una finzione per smettere di coltivare. La dimostrazione che il reddito aggiuntivo derivato dall’energia prodotta si integra davvero con quello da raccolto. Una risposta ai problemi dell’agricoltura.