Cinque anni fa, prima del Covid, in consiglio comunale si dibatteva di come ridurre la plastica. Bar e negozi si dichiaravano “plastic free”, liberi dall’usa e getta. L’Erbolario ha dichiarato di non usare microplastiche nei propri prodotti, perché la cosmesi ne fa un gran uso. Si proponeva di tornare ad usare materiali naturali nell’agroindustria e persino produrre bioplastiche da scarti agricoli. Buone intenzioni oggi un po’ dimenticate.

In occasione di Puliamo il Mondo, gruppi di volontari e scolaresche si dedicano ancor oggi a raccogliere i rifiuti che si disperdono: constatiamo che la plastica non viene degradata dai batteri, non fertilizza il suolo come succede per le foglie o le bucce. I sacchetti, le bottiglie, i teli in plastica usati in agricoltura, i vestiti in fibre sintetiche, le cassette o le tubazioni, i giochi o le componenti dure delle carrozzerie o degli elettrodomestici, se non raccolti e differenziati, se non li portiamo ai centri comunali di raccolta, si ritrovano nell’ambiente. Lì rimangono per decenni, per secoli. Si rompono, sfibrano, sotterrano o si disperdono grazie ai venti, alle piogge, ai corsi d’acqua e alle correnti marine. Le frazioni, le fibre, le micro e le nanoplastiche si ritrovano sugli alberi, galleggianti nelle acque dei mari, poi spiaggiati o depositati nei sedimenti profondi dei laghi alpini e degli oceani. Se ne nutrono gli animali, i pesci e gli uccelli marini, le tartarughe pensando di ingoiare meduse e, quando non strozzano o soffocano, si ritrovano nell’apparato digestivo, nel sangue, nei tessuti. Così le nanoplastiche entrano nei cibi acquistati e, dal piatto nei nostri corpi. 

Un recente studio pubblicato sulla rivista Nature Medicine ha rivelato una presenza di microplastiche nel cervello pari alla quantità di plastica che potrebbe essere contenuta in un cucchiaino. I livelli osservati erano da 3 a 5 volte più alti negli individui con una diagnosi documentata di demenza. I tessuti cerebrali mostrano concentrazioni da 7 a 30 volte superiori rispetto ai reni e al fegato. Documentata la presenza anche nello sperma, nella placenta e nel latte. Dal sito delle Fondazione Veronesi scopriamo che “l’aumento delle concentrazioni globali di microplastiche e nanoplastiche ambientali solleva preoccupazioni riguardo l’esposizione umana e gli effetti sulla salute”.

Dopo anni il 15 agosto scorso a Ginevra, in Svizzera, è fallito l’ultimo appuntamento del negoziato per stilare un Trattato globale sulla plastica. A chiedere di ridurre o eliminare gradualmente la plastica erano 74 stati marittimi o insulari, molti europei, ma non l’Italia. Contrari i maggiori produttori di combustibili fossili: Stati Uniti, Russia, diversi Paesi Arabi e ultimamente anche la Cina ed altri Paesi del sud est asiatico. Così nel mondo cresce la produzione di plastica: nel 2022 400 milioni di tonnellate, il doppio del 2000. In Europa ben 58 milioni e appena l’1% di bioplastiche. Quasi il 70% diviene subito rifiuto (per metà imballaggi) e solo il 25% viene riciclato. A causa della plastica in Europa si emettono 252 milioni di tonnellate di CO2, 58% nella produzione e trasformazione dei prodotti in plastica e il 42% a causa delle emissioni causate dagli inceneritori. Ne abbiamo di strada da fare.

Andrea Poggio